Viva Amanda, l'anti-Marilyn: due titoli al femminile, due punti di vista differenti

Il confronto è tra lo sguardo maschile malevolo di Andrew Dominik e la levità femminile di Carolina Cavalli

benedetta porcaroli nel film amanda
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Due titoli al femminile: Blonde, il biopic molto immaginario di Marilyn Monroe, in vetta alle visioni, ma anche alle polemiche, su Netflix, e Amanda, film agli antipodi, rigorosamente minimal di una giovane donna italiana, Carolina Cavalli. A prima vista non si dà competizione, anche se entrambi sono stati alla Mostra di Venezia, il primo in concorso, il secondo nella sezione Orizzonti. E invece il confronto è da fare, pur se avventuroso, fra lo sguardo maschile malevolo del regista di Blonde Andrew Dominik, impietoso anche nel sunteggiare il romanzo di Joyce Carol Oates, e la levità del tocco femminile in Amanda.

Ana De Armas in Blonde
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Ne faccio una banale, un po’ scontata, questione di genere? Per una volta sì, perché è soprattutto una questione di linguaggio e Dominik decide per il peggio: Marilyn, l’attrice straordinaria, la donna, si intravvede solo in qualche labile traccia dei suoi film-culto, il film si concentra, frammentario, sulla bimba abbandonata dalla madre folle tra violenza e fuoco, sullo stupro del primo produttore con quel dettaglio intimo che non ci serviva, sulla storia a tre, inverosimile, con i due disperati e sconsiderati rampolli di Chaplin e Edward G. Robinson e chiude con un passaggio di sesso orale in primissimo piano con soggettiva del presidente Kennedy. Per tutto il film Marilyn è solo un corpo da violare e, con tutto quello che ha passato in vita, siamo contente che non sia qui a vedere. Tutto l’onore va alla protagonista Ana De Armas, bravissima e convinta, ma il voyeurismo del regista è cinico e senza vera pietas: con le inquadrature non si scherza e la scena sottolineata dell’aborto, speculum incluso, era davvero da evitare, specialmente oggi.

Benedetta Porcaroli in una scena del film Amanda
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Si esce dalla visione un po’ arrabbiate e avvilite (non tutti, naturalmente, io sì) e nella sua piccina coerenza solleva lo spirito Amanda (in sala dal 13 ottobre): una storia spaesata, ambito affluente, e questa ragazza di venticinque anni, Amanda, che se ne va in giro con il suo gilet feticcio, patchwork all’uncinetto, senza una sola amica o un fidanzato, tra rave immaginati, cinema vuoti, sesso virtuale sempre mancato, non priva di rabbia e humor, in bilico su un vuoto di cui cerca il perché.

Intorno a lei una madre disorientata, una sorella sovraccarica delle responsabilità che lei rifiuta, dunque antipatica, la tata che la ama, e infine l’amica d’infanzia ritrovata e a tutti i costi voluta nonostante non esca dalla stanza da due anni, un caso di hikikomori assai acuto. Sarà battaglia, ma qualcosa in quel mondo pazzo succederà e il disagio dell’adolescenza sfocia nella sorellanza, contro ogni evidenza.

Un film bizzarro, abilmente sospeso tra ironia e apocalisse esistenziale, che vive sulla bravura della protagonista Benedetta Porcaroli, decisamente la nostra giovane interprete più sensibile e sfumata. La rende ancor più credibile, e certo meno sola della povera Marilyn, il coro di attrici straordinarie, mai banali, che la circonda: l’amica Galatea Bellugi, altro talento in crescita, le bravissime Monica Nappo e Giovanna Mezzogiorno, e la sorella interpretata da Margherita Missoni. Poteva esser solo snob e invece è un ritratto lucido, un po’ spietato, femminile senza retorica, della nostra meglio gioventù, anche quando non sa di esserlo.

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